La traduzione nell’età rinascimentale e moderna
Lo sviluppo della traduzione in età rinascimentale si accompagna allo sviluppo delle classi medie, dei commercianti e della borghesia.
Questa massa di persone aveva una conoscenza del latino scarsa o nulla e desiderava leggere opere nella propria lingua materna.
Nell’Inghilterra Tudor di Enrico VIII e in quella elisabettiana assistiamo quindi a traduzioni e adattamenti di opere latine, come quelle di Ovidio e Orazio e anche delle opere scritte in latino dal Petrarca. Più che traduzioni si tratta però di adattamenti, molto liberi.
Il problema dell’ACCURATEZZA DELLA TRADUZIONE verrà affrontato più avanti, per cui buona parte delle traduzioni rinascimentali SONO IN REALTÀ ADATTAMENTI.
Una traduzione vera e propria, certamente una delle più importanti di tutti i tempi, è invece quella della Bibbia eseguita da William Tyndale, che può definirsi il “TRADUTTORE MARTIRE”.
William Tyndale (1494 – 1536) era uno studioso inglese di teologia, nel periodo in cui Re Enrico VIII era ancora cattolico. William Tyndale maturò la convinzione che la parola di Dio dovesse essere comprensibile a tutti, anche al più umile dei contadini.
Tyndale era molto dotato per le lingue e parlava correntemente il francese, il greco, l’ebraico, il tedesco, l’italiano, il latino, lo spagnolo oltre alla sua lingua materna, l’inglese.
Si decise quindi a tradurre il Nuovo Testamento in inglese. Chiese il permesso al cardinale Wolsey, consigliere di Enrico VIII, ma quello glielo negò.
Allora Tyndale lasciò l’Inghilterra, si recò in Germania, ove conobbe Lutero, divenne quindi luterano e completò la traduzione del Nuovo Testamento in inglese. Poi iniziò a tradurre il Vecchio Testamento e lo tradusse per metà. Nel frattempo il Nuovo Testamento in inglese era stato pubblicato, incontrando un vasto successo in tutta Europa e attirando su Tyndale l’accusa di eresia. Tyndale peggiorò le cose rifiutandosi di riconoscere il divorzio di Enrico VIII da Caterina d’Aragona.
Enrico VIII voleva sposare Anna Bolena e per fare questo separerà la Chiesa d’Inghilterra da quella di Roma. Adirato con Tyndale, che si trovava nei Paesi Bassi Spagnoli, chiese a Carlo V di catturarlo.
Tyndale fu arrestato ad Anversa e fu trovato in possesso di una copia del Nuovo Testamento da lui tradotto. Questo bastava per una condanna a morte. L’esecuzione fu terribile. Tyndale fu legato ad un palo, fu strangolato e poi il suo corpo fu bruciato.
Quando una traduzione costò letteralmente la vita.
Per questa ragione Tyndale è noto come il “traduttore martire” ed è la figura di traduttore più tragica della storia.
Al momento della morte Tyndale aveva tradotto tutto il Nuovo Testamento e una parte del Vecchio. Un suo assistente completò l’opera, finendo la traduzione del Vecchio Testamento.
La traduzione della Bibbia di William Tyndale
La storia della traduzione della Bibbia è molto avventurosa. Tyndale fu sovvenzionato da un mercante inglese che gli diede 10 sterline. Con questo denaro si recò in Germania ove trovò i testi originali biblici in ebraico e greco. Per non farsi scoprire utilizzò varie stamperie, in modo tale da stampare la traduzione a pezzettini. Quando infine fu pubblicata, la sua Bibbia ebbe molto successo e scatenò le ire della Chiesa inglese. L’arcivescovo di Londra Tunstall chiese ad un mercante di Anversa di trovare tutte le copie della Bibbia Tyndale in circolazione, per acquistarle e bruciarle. Il mercante di Anversa però era amico di Tyndale e i soldi dell’arcivescovo finirono per sovvenzionare la stampa di molte più copie di quante ne furono distrutte.
Sebbene apprezzatissima, molti contestarono la traduzione di Tyndale, in particolare i teologi cattolici.
Ad esempio Tommaso Moro accusò Tyndale di cambiare diabolicamente il senso delle Scritture traducendo i termini greci: presbyteros con elder, ‘anziano’ (invece dell’allora comune priest, cioè sacerdote), il termine ekklesia con congregation, ‘congregazione’ invece di Church, Chiesa e infine il termine agape con love, ‘amore’, invece di charity, carità.
Nella sua traduzione William Tyndale ha inoltre introdotto diversi nuovi termini nella lingua inglese e in particolare: Jehovah, per Dio (dal tetragramma HYWH), Passover per Pasqua, Atonement (da at onement = conciliazione) con il significato di espiare riconciliandosi con Dio e scapegoat, per capro espiatorio.
La Bibbia di Tyndale, che ha introdotto anche le note a piè di pagina e i commenti, che erano vietati dalla Chiesa Cattolica di allora, è pertanto una delle più importanti traduzioni della storia ed è la base della Bibbia ufficialmente utilizzata nel Regno Unito, la King James Version (la cosiddetta “Bibbia di re Giacomo I Stuart) del 1611, messa a punto da 50 studiosi, ma che, in pratica, è la Bibbia di Tyndale rivisitata.
La prima traduzione della Bibbia in tedesco
Un’altra opera ciclopica fu la traduzione della Bibbia in tedesco, eseguita da Martin Lutero (1483 – 1546) che impiegò ben 12 anni, dal 1522 al 1534, per portarla a termine.
Una traduzione che ha plasmato la moderna lingua tedesca, ha consolidato la nascita del Protestantesimo e ha cambiato la storia del mondo.
Perché ha consolidato la nascita del Protestantesimo?
In quanto la diversa traduzione di vocaboli ed espressioni, presentata dalla Vulgata cattolica latina (cioè la traduzione di San Gerolamo) rispetto alla Bibbia in tedesco di Lutero ha costituito il fondamento delle differenze dottrinali tra le due confessioni del Cristianesimo.
Martin Lutero non ha soltanto eseguito una delle più importanti traduzioni della storia, è stato anche il primo ad affermare che SI PUÒ ESEGUIRE UNA TRADUZIONE CORRETTA SOLO SE SI TRADUCE VERSO LA PROPRIA LINGUA MADRE, concetto rimasto valido ancora oggi. Infatti la conoscenza di frasi idiomatiche, sfumature linguistiche, sinonimi e antonimi di un madrelingua non sarà mai raggiunta di chi parla una lingua straniera, ma non è madrelingua.
Proprio perché la traduzione è una sapiente miscela di metafrasi, cioè traduzione parola per parola e di parafrasi, cioè traduzione a senso.
Chi traduce in una lingua che non è la sua lingua madre e che quindi non padroneggia perfettamente, presenterà sempre delle carenze nella parafrasi, cioè nella traduzione “a senso” e non sarà mai in grado di raggiungere quella fluidità di concetti che invece riesce naturale ad un madrelingua.
La traduzione della Bibbia in inglese e in tedesco stimolò la traduzione della Bibbia in altre lingue europee, un processo importantissimo, che ha contribuito a modellare le lingue che attualmente si parlano in Europa.
La Bibbia tradotta in tutta Europa
La traduzione della Bibbia in inglese e in tedesco stimolò la traduzione della Bibbia in altre lingue europee, un processo importantissimo, che ha contribuito a modellare le lingue che attualmente si parlano in Europa. Nel corso del XVI secolo la Bibbia fu tradotta in polacco, olandese, francese, spagnolo, ceco e sloveno.
La traduzione in polacco è la più importante, fu eseguita dal gesuita Jakob Wujek nel 1535 e la Bibbia è nota come “Biblia Jakuba Wujka”.
Ha contribuito allo sviluppo del moderno polacco e viene ritenuta una delle più importanti opere della letteratura polacca. La traduzione in lingua neerlandese risale al 1526 ed è opera di Jacob van Lisevelt.
La Bibbia in francese fu pubblicata nel 1528 da Jacques Lefevre d’Étaples (Jacobus Faber Stapulensis), presbitero, teologo ed umanista francese che rimase cattolico tutta la vita nonostante i protestanti cercassero di portarlo dalla loro parte.
La traduzione in spagnolo risale a sua volta al 1569 ed è opera di Casiodoro de Reyna, un teologo spagnolo dell’Ordine di San Girolamo, convertitosi al Protestantesimo.
La Bibbia tradotta in spagnolo è nota come Bibbia dell’Orso per l’illustrazione iniziale, che rappresenta un orso il quale cerca di raggiungere un favo di miele appeso ad un albero.
Jurij Dalmatin pubblica la traduzione in sloveno della Bibbia nel 1584 e infine la traduzione in lingua ceca viene effettuata nel periodo 1579-93.
Insomma in tutta Europa comincia ad affermarsi un best seller mondiale: la Bibbia!
La nascita del servizio di Interpretariato
Nel corso del ‘500 assistiamo anche alla nascita ufficiale del servizio di INTERPRETARIATO. Sebbene non sia stata effettivamente lei la prima, è tradizione che la prima interprete ufficiale della storia sia la famosa MALINCHE, anche nota come MARINA o MALINTZIN.
Malinche (1500 – 1529) era una giovane indigena data come schiava all’esercito di Hernàn Cortes, quando costui invase l’impero azteco di Montezuma, a inizio del ‘500. Malinche, il cui nome originale di battesimo è sconosciuto, era una Nahuas ed era stata venduta da bambina ad un’altra tribù, arrivando pertanto a conoscere due lingue amerindie alla perfezione, tra cui il nahuàtl, ancora oggi parlato in Messico, che era la lingua ufficiale degli aztechi. Divenuta buona conoscitrice dello spagnolo ci si rese presto conto che le sue doti erano importantissime. Con l’aiuto di altri interpreti “a catena” Malinche poteva tradurre in spagnolo molte lingue maya.
La sua importanza crebbe al punto da diventare l’amante ufficiale di Hernàn Cortes, da dargli un figlio ed essere riverita dagli ufficiali dell’esercito spagnolo come Doña Marina. Fu Malinche a fare da interprete tra Cortes e l’imperatore Montezuma in uno dei più importanti colloqui della storia dell’America latina, che sancì l’inizio della fine per l’impero azteco. Malinche, quindi, non è solo la PRIMA INTERPRETE della storia, è anche l’INTERPRETE PIÙ FAMOSA DELLA STORIA oltre ad essere nota come la cosiddetta MADRE DEL MESSICO.
Una figura immersa in un alone controverso. C’è chi la vede come una diavolessa distruttrice del suo stesso popolo e chi invece la considera la madre del Messico moderno. Morì giovane, di vaiolo, ma fece in tempo a vedere il crollo del sanguinario impero azteco, crollo cui lei diede un formidabile contributo. Nessuno può dirci quale fosse la qualità del suo interpretariato, ma è certo che l’esercito spagnolo la rispettava quasi quanto Cortes. L’uso di interpreti “a catena” che fanno da passaparola o meglio da “traduci-parola” consentendo la comprensione tra lingue diversissime fu poi applicato più volte nella storia.
A proposito di interpretariato si possono ricordare altre figure femminili, appartenenti a tribù del Nord America, che diedero un importante contributo alla comunicazione tra inglesi e pellerossa e poi i famosi interpreti dell’Impero Ottomano, ove la figura era così importante da ricevere un titolo “nobiliare”, quello di GRAN DRAGOMANNO (in turco: Baştercüman), che comprendeva anche un’elegante e ricca divisa.
L’impero ottomano dominava, direttamente o come vassalli, molti popoli diversi e si rese ben presto conto dell’importanza essenziale di un servizio di interpretariato e traduzione. Al punto tale da creare la figura del GRAN DRAGOMANNO che era l’interprete e traduttore ufficiale del sultano. Spesso si trattava di cristiani catturati nel corso di scorrerie piratesche e convertiti all’Islam, oppure di nobili moldavi, valacchi o greci.
Determinanti nella redazione di ogni trattato di pace e commerciale, gli interpreti e traduttori ufficiali ottomani, i Gran Dragomanni, divennero importantissimi e talvolta capitò che una traduzione sbagliata costasse loro la testa.
Per quanto riguarda l’Europa, la necessità di interpreti ufficiali all’epoca non era particolarmente sentita, in quanto, in generale, i sovrani, la nobiltà, i politici, il clero e gli esperti di scienza e diritto conoscevano più di una lingua straniera, spesso anche 5-6 lingue, ragione per la quale, ad esempio, i sovrani parlavano direttamente tra loro, senza la necessità di interpreti.
A volte come lingua “ponte” si usava il latino, ruolo che poi spetterà al francese e più avanti all’inglese.
Le traduzioni nel XVII secolo
Chiusa la parentesi sull’interpretariato, si giunge al XVII secolo.
Nel corso del ‘600 la qualità media delle traduzioni lasciava ancora a desiderare e molti autori si espressero sull’argomento.
Miguel de Cervantes (1547-1616), autore del romanzo “Don Chisciotte della Mancia” paragonò la traduzione ad un arazzo fiammingo visto da dietro. Ovvero la bellezza della trama originale è ancora visibile, ma è come annacquata e distorta dal groviglio dei fili. Questo a testimonianza di come molte traduzioni dell’epoca lasciassero alquanto a desiderare.
John Dryden e la nascita della moderna traduzione
Nel corso del ‘600 analizzò il concetto di traduzione quello che è probabilmente il personaggio più importante della storia della traduzione: il celebre letterato e poeta John Dryden (1631-1700).
John Dryden è una figura importantissima per lo sviluppo della traduzione e si può ritenere il PADRE DELLA TRADUZIONE MODERNA.
Il mondo attuale della traduzione deve quasi tutto al pensiero di John Dryden.
Se oggi si traduce bene, lo si deve in gran parte ai concetti enunciati da John Dryden.
John Dryden visse nell’epoca della Restaurazione Stuart e fu il primo poeta laureato d’Inghilterra, nel 1668. Celebre commediografo e poeta, fortemente legato alla monarchia e coltissimo, tradusse le opere di Ovidio, Giovenale e altri autori latini. Ma la sua traduzione più importante è quella delle opere di Virgilio (“The Works of Virgil”) del 1697.
Un’opera titanica nella cui introduzione Dryden espone le sue TEORIE SULLA TRADUZIONE, valide ancora oggi.
Dryden ritiene che la traduzione deve ottenere il seguente effetto:
IL LETTORE DEVE LEGGERE LA TRADUZIONE ED AVERE L’IMPRESSIONE CHE SE L’AUTORE DELLO SCRITTO ORIGINALE FOSSE STATO INGLESE, AVREBBE SCRITTO ALLO STESSO MODO DI COME HA FATTO TRADUTTORE. LA TRADUZIONE DEVE ESSERE FLUIDA, LO STILE NATURALE.
Quindi, come afferma Dryden la traduzione deve essere una giusta miscela di FAITHFULNESS (o FIDELITY) e TRANSPARENCY (o FELICITY) .
La Faithfulness è la FEDELTÀ al testo originale.
Dryden riteneva che il traduttore non fosse autorizzato ad alterare l’originale, in quanto,secondo lui, la traduzione è come un disegno della natura dal vero. COSÌ COME NON SI DEVONO CAMBIARE LE FORME E I COLORI DEI PAESAGGI, IL TRADUTTORE NON DEVE ALTERARE IL SIGNIFICATO DELL’ORIGINALE.
Quindi, come dice Dryden, se l’autore originale ha utilizzato una BELLA PAROLA, bisogna cercare una BELLA PAROLA che la traduca, IL PIÙ POSSIBILE FEDELE ALLA PAROLA ORIGINALE.
Tuttavia la Faithfulness deve essere in accordo con la Transparency.
Che cos’è la Transparency, la Trasparenza?
La Trasparenza consiste nel seguente effetto: LA TRADUZIONE È TRASPARENTE SE IL LETTORE, LEGGENDOLA, NON LA PERCEPISCE COME TRADUZIONE, MA HA L’IMPRESSIONE DI LEGGERE UN’OPERA ORIGINALE, SCRITTA NELLA SUA LINGUA. Quindi la traduzione è trasparente, nel senso che NON si vede che è una traduzione. In altre parole, questo significa che la traduzione deve essere FLUIDA, e riportare modi di dire tipici della lingua target, nonché la sua grammatica corretta, una sintassi impeccabile e un vocabolario ricco ed elegante.
Quindi una traduzione che rispecchia la Faithfulness si dice FEDELE ALL’ORIGINALE e una traduzione che rispecchia la TRANSPARENCY si dice IDIOMATICA, ovvero BELLA DA LEGGERE,FLUIDA E SCORREVOLE.
Una buona traduzione DEVE ESSERE UNA MISCELA DI FAITHFULNESS E TRANSPARENCY, deve essere cioè sia FEDELE CHE IDIOMATICA.
Dryden spiega che alcune belle espressioni latine e greche risultano orribili in lingua inglese e pertanto è una forma di rispetto verso gli autori greci e latini allontanarsi dalla fedeltà per adottare espressioni idiomatiche inglesi che non tradiscano il testo, ma ne rendano la bellezza.
Questa miscela è ancora la base per una perfetta traduzione. Le parole di Dryden sono valide ancora oggi e sono la spiegazione per la quale la traduzione automatica di Google Translate non potrà MAI raggiungere un livello tale da diventare IDIOMATICA. Al massimo sarà una traduzione FEDELE. Al momento è in parte fedele, in parte assurda e ridicola e quasi mai idiomatica.
Dryden è quindi, sicuramente, se non il più grande traduttore di sempre, il MASSIMO TEORICO DELLA TRADUZIONE.
Una curiosità: John Dryden, che venerava la lingua latina, sosteneva che nessuna frase inglese dovesse terminare con una preposizione, ad esempio “The books I am looking for” (i libri che sto cercando) perché questo nel latino non succede mai. Ancora oggi c’è chi sostiene questa tesi di Dryden.
Alexander Pope e le traduzioni nell’età moderna
Un altro grande traduttore inglese, che si attenne al criterio di TRANSPARENCY di Dryden, fu Alexander Pope (1688 – 1744), traduttore dell’Iliade di Omero.
Alexander Pope tradusse il poema omerico in modo tale che potesse essere apprezzato dagli inglesi, quindi fu criticato per aver ridotto il “wild paradise” (paradiso selvaggio) di Omero a “order”, ordine della campagna inglese.
Tuttavia la sua traduzione “idiomatica” rimane ancora oggi un capolavoro.
Per tutto il corso del XVIII secolo il criterio che guidò la maggioranza delle traduzioni fu la transparency, cioè il fatto che fossero facili da leggere, godibili.
Questo portò a sacrificare la fedeltà, la faithfulness, fino a casi paradossali come quello della traduzione dei Poemi di Ossian di James Macpherson (1736 – 1796) .
Questo scozzese affermò di aver tradotto, dal gaelico, i poemi del bardo scozzese Ossian, risalenti al III° secolo dc.
Tuttavia Macpherson aveva trovato in realtà soltanto qualche frammento originale gaelico e la sua cosiddetta “traduzione” fu più che altro un parto della sua mente, volto a ricreare l’epoca romantica degli antichi bardi. Ben presto molti critici e il letterato Samuel Johnson fecero notare le incongruenze presenti nel lavoro di Macpherson, gli errori linguistici e storici, additando la sua opera come una pseudo-traduzione. Questo fa sì che James Macpherson possa essere ritenuto il traduttore più fantasioso e meno attendibile di sempre.
Per concludere questa panoramica dell’età moderna si devono ricordare alcuni personaggi: Johann Gottfried Herder (1744 – 1803), filosofo illuminista e teologo tedesco, che ribadì l’assioma secondo il quale si deve tradurre solo ed esclusivamente verso la propria lingua madre, lo storico scozzese Alexander Tytler, che nel suo Essay on the Principles of Translation (1790) sostenne che l’assidua LETTURA dei testi in lingua originale fosse più importante dei dizionari (il che oggi appare paradossale, ma bisogna considerare il fatto che all’epoca i dizionari erano piuttosto scadenti) e il poeta e grammatico polacco Onufry Kopczyński che affermò l’importanza dell’ascolto della lingua straniera PARLATA, per l’apprendimento dei modi di dire e delle espressioni comuni, fattori essenziali per eseguire una buona traduzione.
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