Ignacy Krasicki e la sua definizione di traduzione
Il XIX secolo si apre con le affermazioni del Primate Cattolico di Polonia, nonché poeta, enciclopedista, autore del primo romanzo polacco e traduttore dal francese e dal greco, il celebre Ignacy Krasicki (1735-1801).
Krasicki, noto come “il principe dei poeti polacchi”, ci regala, in un’opera postuma del 1803, la più bella descrizione in assoluto dell’arte della traduzione e della figura del traduttore.
Krasicki scrive che la traduzione è un’arte degna di stima e molto difficile, non è un lavoro per menti comuni, bensì è il frutto delle fatiche di persone che sono esse stesse degli artisti. Artisti del sacrificio, che rinunciano a scrivere opere di proprio pugno, ovvero rinunciano alla propria gloria personale, per rendere un servizio al proprio paese, traducendo capolavori di autori stranieri.
Una bellissima definizione!
Schleiermacher e la traduzione letterale
In Germania, l’affermarsi del Romanticismo tedesco portò ad una diffusione di teorie che sostenevano la maggiore importanza della fedeltà all’originale, la FAITHFULNESS, rispetto alla leggibilità e fluidità del testo tradotto, ovvero la TRANSPARENCY, la trasparenza (il testo tradotto non deve sembrare tradotto). In particolare fu il filosofo e teologo tedesco Friedrich Schleiermacher (1758-1834) , che cercò di conciliare illuminismo e fede ed è definito il “padre della moderna teologia liberale”, a sottolineare, nella sua opera “Sui diversi metodi di traduzione” (1813) che esistono fondamentalmente due metodi di traduzione:
uno è definito
“il traduttore porta lo scrittore verso il lettore”
e l’altro è il contrario:
“il traduttore porta il lettore verso lo scrittore”.
Nel primo metodo si rinuncia ad un po’ di fedeltà per rendere meglio comprensibile lo scrittore al lettore (lo scrittore va verso il lettore) e nel secondo metodo ci si attiene fedelmente all’originale cercando di avvicinare il lettore ad una cultura straniera (il lettore va verso lo scrittore).
Schleiermacher ritiene che il secondo metodo sia da preferire e che la traduzione deve essere soprattutto fedele al testo originale.
Nel corso del XIX secolo si noterà pertanto una tendenza delle traduzioni verso una maggiore fedeltà all’originale.
Si tratta di un maggiore rigore linguistico che tende a rifuggire dalle traduzioni troppo libere, dagli adattamenti, così in voga nel 600 e 700.
Quindi nel XIX secolo l’imperativo è rispettare il testo originale, non saltare nulla e non lasciarsi andare a troppe libertà di interpretazione.
In altre parole il testo tradotto deve mostrare la sua caratteristica di testo “tradotto” e quindi, piuttosto che tradurre troppo liberamente, bisogna tradurre letteralmente, aggiungendo molte note esplicative a pie’ di pagina.
Il XIX secolo è pertanto il secolo in cui nasce la nota esplicativa e in cui le traduzioni si vanno facendo sempre più letterali.
Le traduzioni ottocentesche vogliono che il lettore capisca perfettamente che si tratta di un testo straniero. Pertanto il testo deve suonare straniero e non può essere familiare più di tanto. Il lettore viene aiutato nella comprensione di questo testo fedelissimo all’originale dalle note esplicative a piè di pagina, la cui importanza diventa fondamentale.
Fitzgerald e la sua traduzione “libera”
Un’eccezione rimane la traduzione delle Rubaiyat di Omar Khayyam (1859) ad opera del poeta Edward Fitzgerald.
Le Rubaiyat sono una raccolta di poesie composte nell’XI secolo dal matematico e poeta persiano ʿUmar Khayyām.
Fitzgerald NON applicò il criterio della fedeltà, ma la sua traduzione, libera e particolarmente scorrevole, non fedele all’originale, piacque moltissimo.
In verità, quando pubblicò la sua traduzione, questa non ebbe successo, ma il poeta e pittore Dante Gabriel Rossetti trovò la traduzione in una bancarella, la lesse, se ne appassionò e contribuì a rilanciare il testo di Fitzgerald, che incontrò uno straordinario favore nell’Inghilterra vittoriana.
La traduzione è liberissima e Fitzgerald aggiunge e toglie pezzi a piacere, oltre ad avvolgere le quartine del poeta persiano in un’atmosfera pessimista assente nell’originale. Atmosfera che piacque moltissimo al pubblico vittoriano.
Fitzgerald cominciò dunque un lavoro di “transcreation” che è assolutamente la moda anche ai giorni nostri. La parola è composta da “translation” e “creation” e implica nel nome stesso un lavoro di creazione che accompagna quello di traduzione. Il traduttore si libera dalla catene del testo originale, ma lo usa solo come traccia per creare un testo completamente nuovo nella lingua di destinazione.
Le grandi agenzie di marketing si sarebbero rivolte a Fitzgerald per tradurre le loro mirabolanti pubblicità!
Benjamin Jowett e la traduzione “a senso”
Anticipatore delle tendenze del XX secolo, che sosterranno un bilanciamento tra traduzione FEDELE e traduzione A SENSO, cioè IDIOMATICA, “TRASPARENTE” E NON ALLA LETTERA, è Benjamin Jowett (1817 – 1893), erudito e celebre professore presso l’Università di Oxford, che nel 1871 tradusse dal greco le opere di Platone e Tucidide in un linguaggio semplice e molto efficace, comprensibile a tutti e di gran successo.
La sua fu una traduzione non troppo fedele all’originale, ma che contribuì moltissimo alla diffusione del pensiero platonico presso il vasto pubblico.
Verso la fine del XIX secolo la traduzione divenne meno strettamente letterale, come la voleva SCHLEIERMACHER, e si reindirizzò verso una miscela di FAITHFULNESS e TRANSPARENCY, cioè di FEDELTÀ ALL’ORIGINALE e SCORREVOLEZZA PER IL LETTORE
Yan Fu e la sua teoria della traduzione
In quel periodo il traduttore ed erudito cinese Yan Fu (1854 – 1921), che era un ufficiale di marina, inviato in Inghilterra per studiare scienza della navigazione presso l’Accademia di Greenwich e divenuto un eccezionale traduttore dall’inglese, sviluppò la teoria della TRADUZIONE A TRE FACCE, secondo la quale la traduzione deve possedere tre doti:
1) FEDELTÀ
2) ESPRESSIVITÀ
3) ELEGANZA
Ovvero la traduzione deve:
– essere fedele all’originale,
– essere espressiva, nel senso che il pubblico che la legge deve capirla, deve capire i concetti tradotti, e…
– essere elegante, ovvero il pubblico che la legge deve giudicarla scritta bene, da una persona istruita e non da un buzzurro.
Yan Fu ritiene la SECONDA FACCIA LA PIÙ IMPORTANTE, la FACCIA a cui le altre due facce devono obbedire. Cioè la traduzione deve ESSERE ESPRESSIVA, deve trasmettere al lettore l’esatto concetto o informazione contenuti nel testo originale.
Deve anche essere fedele ed elegante ma l’espressività non può mai essere sacrificata a favore della fedeltà e dell’eleganza.
Pertanto Yan Fu, che tradusse grandi classici dall’inglese al cinese, cambiò nelle sue traduzioni i nomi dall’inglese al cinese e sconvolse l’ordine inglese delle parole, affinché il concetto del testo originale passasse al meglio nel testo tradotto in cinese.
Ancora oggi si ritiene che l’ESPRESSIVITÀ debba avere la prevalenza su FEDELTÀ ed ELEGANZA.
Yan Fu si deve pertanto considerare un personaggio fondamentale nella storia della traduzione, stimatissimo ancora oggi.
Mark Twain e la “traduzione inversa”
Per verificare la qualità delle traduzioni, nel XIX secolo si fece largo uso della BACK-TRANSLATION, cioè della TRADUZIONE INVERSA.
Si tratta della traduzione “all’indietro”, cioè nella lingua originale, di un testo già tradotto, senza conoscere il testo originale. Questo si fece sia per valutare se il testo tradotto era stato ben tradotto sia per “ricreare” testi originali andati perduti.
La traduzione inversa, un tempo molto di moda, si rivelò però alquanto imperfetta e con risultati sovente ridicoli.
Colui che mostrò quanto fallace fosse la back-translation fu il geniale Mark Twain, che nel 1903 eseguì una TRADUZIONE INVERSA DI UNA SUA OPERA, TRADOTTA IN FRANCESE: “The Celebrated Jumping Frog of Calaveras County” (La celebre rana saltatrice della Contea di Calaveras).
Mark Twain tradusse all’inverso la traduzione francese del suo racconto originale in inglese, come se lui stesso non avesse scritto il testo originale, con risultati comici rispetto al testo di partenza.
La traduzione inversa si utilizza ancora oggi quando si sospetta che un testo sia in realtà una traduzione e non un testo originale. Traducendo l’opera “all’indietro”, nell’ipotetica lingua di partenza si può dimostrare che la grammatica, le espressioni idiomatiche, i modi di dire dell’opera derivano dalla lingua originale ipotizzata e pertanto l’opera che si riteneva originale in realtà è una traduzione.
Ad esempio la traduzione inversa del famoso racconto “Till Eulenspiegel” dimostrò che l’opera che si riteneva essere originalmente in Alto-Tedesco era in realtà una traduzione dal Basso-Tedesco all’Alto-tedesco. Infatti il racconto conteneva espressioni idiomatiche e modi di dire che non avevano senso in Alto-Tedesco, ma che diventavano comprensibili e sensati effettuando la traduzione inversa in Basso-Tedesco.
Joseph Conrad e l’arte di interpretare
Si deve inoltre ricordare la figura di Joseph Conrad, al secolo Józef Teodor Konrad Korzeniowski (1857-1924) il grande scrittore polacco-inglese, che non parlò fluentemente l’inglese fino a 20 anni e che fu una specie di “traduttore di se stesso” dal polacco all’inglese. Conrad fu il massimo sostenitore della traduzione a senso, idiomatica o “transparent”. Arrivò al punto di scrivere a sua nipote Aniela Zagorska, che era la traduttrice in polacco delle sue opere, raccomandandole di NON essere scrupolosa.
Quindi Conrad consigliò alla nipote di interpretare, più che non tradurre alla lettera, facendosi condurre dal proprio temperamento anziché da una coscienza scrupolosa. Conrad arrivò ad una tale esaltazione delle traduzioni libere, idiomatiche, da preferire la traduzione in inglese della “Ricerca del tempo del perduto” di Proust, eseguita da Scott Moncrieff, al testo originale francese!
Ne preferiva addirittura il titolo “Remembrance of Things Past” (Ricordo delle cose passate), che Moncrieff aveva modificato rispetto all’originale.
Traduttrici ed eroine in età contemporanea
Altri noti traduttori dell’epoca contemporanea comprendono l’eroica Constance Garnett (1861 – 1946), autrice di famose traduzioni di classici russi come Turgenev, Gogol, Tolstoj, Cechov e Dostoevskij, a fine XIX secolo, ancora oggi celebratissima come la migliore traduttrice di sempre della letteratura russa.
Tradusse ben 71 volumi di autori russi, finendo per diventare cieca per il troppo lavoro.
Ricordiamo inoltre Gregory Rabassa che ha tradotto in inglese molti classici del Sud America, scomparso nel 2016, e il Dr. Arthur Waley (1889 – 1966) , il più noto traduttore di classici cinesi e giapponesi in inglese, noto come “l’ambasciatore della Cina e del Giappone” in Occidente.
Infine Gladys Yang (1919-1999) ha tradotto moltissimi classici dal cinese all’inglese, venendo acclamata come una delle migliori traduttrici di tutti i tempi.
Nata a Pechino, figlia di un missionario, Gladys Yang fu la prima laureata in lingua Cinese dell’Università di Oxford. Lì conobbe il marito, cinese, che diverrà anche lui un noto traduttore. Trasferiti in Cina, la coppia divenne celebre per le traduzioni, e furono riveriti come grandi letterati fino alla Rivoluzione Culturale, a fine anni ’60. In quel periodo finirono in prigione, per alcuni anni, e furono poi riabilitati.
Più di recente Gladys stigmatizzò il massacro della piazza Tien An Men, col risultato che fu ostracizzata dal governo, che precedentemente la osannava, il quale ha censurato anche le sue memorie, nonostante l’enorme servizio reso da Gladys Yang alla letteratura cinese.
La traduzione nel XX secolo e il traduttore oggi
Con il procedere del XX secolo la traduzione è divenuta un processo molto diffuso, legata al progresso della tecnica, della scienza e poi dell’informatica e alla ricerca da parte delle aziende di nuovi mercati stranieri.
Si è andata affermando la TRADUZIONE TECNICA E SCIENTIFICA, oltre a quella LEGALE e NOTARILE.
Nel 2018 si è calcolato che il giro d’affari mondiale dei servizi linguistici sia di 46,52 miliardi di dollari e che il settore sia in costante crescita, anche perché la traduzione automatica non sta facendo i progressi attesi e rimane di mediocre livello, non potendo simulare la mente umana, quanto a sottigliezza, sinonimi e uso contestuale delle parole.
Il lavoro di traduttore è ancora oggi creativo, una vera e propria arte, anche nel caso della traduzione tecnica o legale.
La traduzione si è inoltre modernizzata, è tornata al concetto espresso da John Dryden a metà del ‘600 (per maggiori informazioni vedere anche il nostro articolo “La traduzione nell’età rinascimentale e moderna“): la traduzione deve essere fedele all’originale ma anche “trasparente”, cioè comprensibile, fluida, naturale, come se si trattasse di un testo scritto originariamente nella lingua target (di destinazione).
Questo principio si applica anche ad un manuale tecnico o ad un’etichetta alimentare.
In questo modo i lettori odierni possono comprendere facilmente diagnosi, contratti, atti notarili, certificati e un qualsiasi manuale di istruzioni o una guida turistica e possono godere della lettura di una opera teatrale di Molière o Shakespeare senza impazzire.
Ciò non toglie che in alcuni settori il dibattito sia ancora acceso. Ad esempio ci si chiede ancora oggi se la poesia sia effettivamente traducibile o meno.
Ad esempio, Vladimir Nabokov ritenne intraducibile in versi l’Eugenio Onegin di Pushkin e nel 1964 lo tradusse verso l’inglese IN PROSA.
Il letterato Hofstadter ha criticato la scelta di Nabokov e, per dimostrare che sbagliava, nel 1999 ha tradotto l’Egenio Onegin IN VERSI.
Ciò nonostante il linguista russo Roman Jakobson, nel suo saggio del 1959 “Sugli aspetti linguistici della traduzione”, ha definito la poesia come INTRADUCIBILE PER DEFINIZIONE.
Altri temi sui quali dibattono oggi i traduttori sono la traduzione dei titoli dei libri e quella delle canzoni, argomenti che vedono il mondo della traduzione ancora molto diviso.
Un esempio sono i titoli dei celebri giallisti svedesi di oggi, che vengono tradotti in modo addolcito in inglese, mentre in lingua originale svedese sono molto più duri.
Un caso noto è quello del romanzo di Stieg Larsson “The Girl with the Dragon Tattoo” (la ragazza con il tatuaggio del dragone), il cui titolo originale svedese è Män som hatar kvinnor (Uomini che odiano le donne, tradotto in modo fedele all’originale in italiano), molto più crudo.
Nel XX secolo possiamo ricordare anche lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, che ha tradotto dall’inglese allo spagnolo molti capolavori della letteratura anglo-americana e anche opere dal tedesco (di Hesse) e dal francese (di André Gide) e ha sostenuto che la traduzione è un’arte e non può essere letterale. Anzi ha sostenuto la tesi secondo la quale un traduttore può perfino MIGLIORARE il testo originale.
Al giorno d’oggi al traduttore non si richiede solo di essere BILINGUE, ma anche BICULTURALE. Il traduttore non deve pertanto conoscere bene SOLO la lingua sorgente e la propria lingua madre. Deve conoscere l’argomento della traduzione e spesso il contesto geografico, sociale e storico della lingua sorgente. Deve informarsi, deve leggere, deve vedere video, deve tuffarsi nell’argomento oggetto della traduzione, immedesimarsi in un’altra cultura.
La traduzione tecnica, scientifica e legale è quella che oggi punta maggiormente sulla FAITHFULNESS, sulla FEDELTÀ all’originale, mentre la traduzione letteraria attribuisce maggiore importanza alla TRANSPARENCY, cioè alla scorrevolezza, alla fluidità e al corretto impiego delle espressioni gergali o idiomatiche della lingua in cui si traduce.
L’uso dei CAT Tool, cioè degli strumenti di assistenza alla TRADUZIONE, consente oggi di tradurre più velocemente e in modo più corretto e omogeneo, riproducendo concetti e vocaboli già tradotti in precedenza.
Nonostante questa evoluzione, che ha portato a traduzioni sempre più esatte, fluide e comprensibili, la figura del traduttore, che nell’antichità, nel medioevo e nell’età moderna era quella di un noto erudito, un sapiente il cui nome veniva celebrato, è oggi scesa quasi completamente nell’ombra.
Questo fa sì che pochi giudichino al giorno d’oggi la traduzione per ciò che realmente è: un’arte molto difficile e che richiede buona cultura generale, buona cultura scientifica, tecnica e merceologica, ottima padronanza grammaticale della propria lingua madre e molteplici competenze, in settori spesso totalmente diversi uno dall’altro.
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