La traduzione nell’età medievale
Nell’Alto Medioevo, dopo la caduta dell’Impero Romano fu molto difficile, per lungo tempo, trovare delle traduzioni di opere dal latino nelle varie lingue nazionali, che andavano formandosi. In questa epoca le traduzioni dal latino sono pochissime. Come mai?
Perché, nell’Alto Medioevo, il latino era la “lingua franca”, parlata correntemente dalle élite e, in generale, dalle persone alfabetizzate, che erano molto poche. Queste persone erano coloro che leggevano e non sentivano quindi l’esigenza di opere tradotte.
Leggevano direttamente in latino.
Alfredo il Grande del Wessex
Un grande anticipatore del futuro risulta pertanto re Alfredo il Grande del Wessex, il sovrano del più importante dei regni anglosassoni ai tempi in cui esisteva l’eptarchia (l’Inghilterra era divisa in sette regni e in parte era dominata e vassalla della Danimarca, i noti vichinghi, che l’avevano invasa a più riprese).
Alfredo regnò a metà dell’800 dc, in epoca carolingia, e commissionò la traduzione dal latino in lingua inglese del classico della tarda antichità: “La consolazione della filosofia” di Severino Boezio e della “Storia Ecclesiastica del popolo inglese” di Beda il Venerabile.
Così facendo Alfredo il Grande volle promuovere l’inglese come lingua nazionale, una forma di riscossa contro i vichinghi danesi e, senza saperlo, diede un contributo essenziale alla formazione del moderno inglese.
Il contributo di arabi e spagnoli
A parte Alfredo il Grande, nell’Alto Medioevo un contributo essenziale alla traduzione è stato dato dagli arabi e dagli spagnoli.
Gli arabi e in particolare i califfi omayyadi e abbasidi, che dominarono l’Islam dal VII° al XII° secolo erano molto interessati alle opere classiche greche e latine, in particolare alle opere scientifiche, filosofiche e poetiche. Le tradussero in arabo o conservarono molti originali in ebraico, greco e latino.
Un ramo dei califfi omayyadi nel IX° secolo invase la Spagna visigota e vi istituì il Califfato di Cordova, dando poi vita ai tanti regni moreschi di Spagna. I califfi diffusero in tutta la Spagna detta letteratura greca, latina ed ebraica, in lingua originale e tradotta in arabo.
Queste opere finirono per interessare i regni cristiani spagnoli, quando essi rinacquero ed iniziarono pian piano a riprendersi la Spagna.
La prima scuola di traduttori del mondo
A Toledo, riconquistata nel 1085 dal re di Castiglia Alfonso VI, si venne formando pian piano la PRIMA SCUOLA DI TRADUTTORI DEL MONDO, la “Schola Traductorum” o “Escuela de Traductores de Toledo”.
Qui una serie di eruditi giunti da varie parti d’Europa tradussero testi classici greci-alessandrini, redatti originariamente in greco e latino e poi tradotti in arabo ed ebraico.
Questi eruditi quindi tradussero testi a loro volta già tradotti.
Le traduzioni avvennero pertanto da arabo e ebraico in latino oppure direttamente in castigliano.
Fu il re di Castiglia Alfonso X il Saggio, che regnò a metà del ‘200, a favorire la traduzione dei testi arabi ed ebraici in lingua castigliana, soprattutto testi scientifici, di medicina e di astronomia.
Sebbene non fosse solo Toledo ed essere il Centro della Traduzione, ed esistessero scuole anche a Palencia e Salamanca, si può ritenere la città castigliana LA CAPITALE MONDIALE DELLA TRADUZIONE e ogni buon traduttore dovrebbe andare in visita a Toledo, così come ogni buon musulmano deve recarsi in visita alla Mecca.
Peraltro la “Escuela de Traductores” esiste ancora oggi. La traduzione moderna è nata lì.
Conosciamo perfino i nomi dei traduttori più famosi: l’ebreo convertito sivigliano Johannes Hispalensis, detto anche Giovanni da Siviglia, tradusse ad esempio in castigliano, dall’arabo e dall’ebraico, i commentari di Aristotele e poi opere di matematica, astrologia, astronomia e filosofia dei filosofi-scienziati persiani al-Ghazali e Avicenna e dell’ebreo Avicebron. Successivamente il segoviano Domingo Gundisalvo, tradusse in latino le opere tradotte in castigliano da Johannes Hispalensis.
Una traduzione della traduzione!
Queste opere tradotte in latino attirarono a Toledo, da tutta Europa, eruditi desiderosi di conoscere dal vivo tali meravigliosi libri arabi. Ricordiamo poi l’ebreo Yehuda ben Moshe che tradusse in lingua volgare, cioè in castigliano o in latino basso-medievale le opere di Avicenna o Averroè. Tra gli inglesi presenti a Toledo citiamo i nomi di Roberto di Retines, Adelardo di Bath e Michele Scoto. Tra gli italiani si può ricordare Gerardo da Cremona e, tra i tedeschi, Ermanno di Carinzia.
Grazie a questo gruppo di traduttori eruditi, veri sapienti, che tradussero o in latino o in castigliano, un gran numero di opere greche, latine, arabe o ebraiche giunsero in Occidente, contribuendo a porre le basi per lo sviluppo della scienza e della filosofia che pervase tutta Europa ai tempi del Rinascimento.
E così fu che il Rinascimento è fiorito grazie… ai traduttori!
Come risultato accessorio della traduzione di tante opere in lingua castigliana, questa finì per incorporare un nutrito lessico scientifico e tecnico, intriso di arabismi, si modernizzò e si snellì, avviandosi a diventare il castigliano moderno.
La traduzione secondo Ruggero Bacone
Bisognerà però attendere il ‘200 per vedere infine definite le competenze di base di un traduttore.
Il compito spettò al filosofo e teologo inglese Ruggero Bacone (1214-1292), il quale scrisse che un buon traduttore deve conoscere sia la lingua sorgente che la lingua di destinazione e avere competenze nella materia oggetto della traduzione. Qualità ancora oggi richieste a un traduttore!
Bacone riesce a cogliere le difficoltà insite nelle traduzioni, che spesso non riescono a rendere il senso del testo originario, soprattutto nell’ambito delle scienze. Un approccio moderno, adottato spesso ancora oggi dalle attuali università di lingue.
Lo sviluppo della traduzione in Oriente
Nel frattempo in Oriente, nel 863 dc i fratelli Santi Cirillo e Metodio furono incaricati di diffondere la fede cristiana tra gli slavi e decisero di tradurre parti della Bibbia dal greco in paleoslavo (che era la lingua parlata dagli slavi di allora, anche detta lingua ecclesiastica slava antica).
Per fare questo, siccome il paleoslavo era difficile da rendere con l’alfabeto latino o con quello greco, si inventarono l’alfabeto glagolitico, antenato del cirillico.
Così fu che una traduzione portò addirittura alla nascita di un nuovo alfabeto.
Ulteriori sviluppi della traduzione in Occidente
In occidente, dopo la traduzione della Bibbia in latino, effettuata da San Gerolamo nel V° secolo dc, si dovette attendere il teologo inglese John Wycliffe, (1320-1384), che tradusse la Bibbia dal latino in inglese. Un gesto che fece senza l’approvazione della Chiesa di Roma, che lo giudicò un eretico. Wycliffe morì nel suo letto, ma l’ira della Chiesa lo colpì dopo morto. Nel concilio di Costanza del 1415 Wycliffe fu condannato come eretico, le sue opere, compresa la sua traduzione, furono bruciate e si ordinò che il suo corpo fosse disseppellito e bruciato. Il che fu fatto e le ceneri furono gettate nel fiume Swift.
Il traduttore non è sempre stato un lavoro tranquillo!
Per quanto riguarda il problema della traduzione dall’ebraico della Bibbia si può raccontare questo divertente aneddoto.
Tradurre non è mai facile, soprattutto quando la parola sorgente ha più di un significato.
Questa particolarità è tipica delle lingue semitiche, come l’ebraico e l’arabo (da cui la difficoltà estrema di tradurre il Corano). Le parole hanno vari significati, che dipendono dal contesto. Ebbene questo è proprio il caso della parola ebraica קֶרֶן (keren) che ha più significati, tra i quali “corno”. La parola viene citata a proposito della testa di Mosè, quando riceve le Tavole della Legge. In questo contesto il vocabolo sicuramente significava “fascio di luce”, ma venne tradotto in latino come “corno”, con il curioso risultato che lo scultore Michelangelo scolpì Mosè con due corna che gli spuntavano dalla fronte…come se la moglie si fosse presa alcune libertà mentre lui era sulla montagna, per ricevere dal Signore le Tavole della Legge.
Come abbiamo visto sinora, la traduzione della Bibbia e in generale dei testi sacri ha dato sicuramente uno stimolo fondamentale al settore della traduzione in generale. Questo perché la religione, e non solo quella cristiana, rappresenta uno dei motori della società del tempo (fino quasi ad arrivare ai giorni nostri), oltre che un modo per asservire e “domare” il popolo.
Sempre in Inghilterra, nel corso del Medioevo, si assiste ad un’altra importante opera di traduzione, quella del primo grande letterato inglese: Geoffrey Chaucer (1343-1400), considerato il padre della lingua inglese.
Chaucer fu un anche un eminente traduttore.
Tradusse dal latino in inglese alcune opere del filosofo Severino Boezio.
Non solo, tradusse e adattò alcune novelle del Boccaccio, dall’italiano in inglese, e tradusse dal francese il “Roman de la Rose”. Una personalità davvero poliedrica, che può dirsi il fondatore della tecnica letteraria dell’adattamento.
Le traduzioni nel Rinascimento
Nel tardo Rinascimento anche l’Italia ospitò infine una grande scuola di traduttori. La Accademia Platonica di Firenze, nata sotto l’egida di Giorgio Gemisto, detto Pletone, noto come Gemisto Pletone (1355 – 1452). Costui era un filosofo neoplatonico bizantino che giunse a Firenze al seguito dell’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo, quando, con il Concilio di Firenze, si cercò di riunificare (senza successo) la Chiesa di Roma con quella ortodossa.
Gemisto Pletone, grande conoscitore dei classici greci, sosteneva che la filosofia di Platone era superiore a tutte le altre, che il Platonismo aveva anticipato il Cristianesimo e che ben presto sarebbe nata una nuova religione che avrebbe unificato l’umanità, una religione basata sulle teorie neoplatoniche legate al culto del sole e allo zoroastrismo.
La profezia non si è avverata, ma Gemisto Pletone rimane un grande erudito.
Queste idee impressionarono Cosimo de’Medici, signore di Firenze, che lo trattenne nella raffinata città. Qui fu fondata l’Accademia Platonica, diretta da un allievo di Gemisto Pletone: Marsilio Ficino.
Costui fu un grande erudito e fine traduttore, nonché filosofo platonico.
Ficino tradusse dal greco al latino quasi tutte le opere di Platone e le complicatissime “Enneadi” di Plotino, la principale opera dottrinale del Neoplatonismo. Un’impresa davvero titanica, data la difficoltà del testo greco di partenza, le “Enneadi” sono infatti quasi incomprensibili. L’opera sfinì Marsilio Ficino, ma la sua traduzione rimane leggendaria.
Si può pertanto dire che la “traduzione più difficile della storia” fu eseguita da un italiano: Marsilio Ficino.
Tomas Malory, fondatore dell’attuale “Transcreation”
Per concludere questa panoramica della traduzione nel Medioevo si può citare Thomas Malory, il letterato inglese che nel 1485 pubblicò “Le Morte d’Arthur” ovvero la traduzione e adattamento di racconti francesi (e inglesi) riguardanti la leggenda di Re Artù e la Tavola Rotonda, con Lancillotto e Ginevra. Si tratta di una delle prime traduzioni in prosa, ma chiamarla traduzione è azzardato, in quanto Malory ha modificato talmente tanto i racconti francesi dai quali ha attinto, che definire la sua “una traduzione” è molto generoso.
Va quindi a Thomas Malory il titolo di traduttore MENO ALLA LETTERA E PIÙ “CREATIVO” di tutti i tempi, il fondatore dunque di quella definita ai giorni nostri come “Transcreation”.
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